La grammatica di Dio

Ho impiegato pochissimo meno di un mese per terminare “La grammatica di Dio” di Stefano Benni e ci tengo a raccontarvi l’epopea della sua lettura. 


Un giorno decisi di leggere qualche rigo per vedere se mi ispirasse e la reazione fu rifiuto totale, perchè troppo strano. Poi mi sforzai di riprenderlo e lessi una, due storie. Ebbene sì il libro è una raccolta di 25 storie che apparentemente non hanno nulla in comune, invece, secondo me il filo di unione vi è, peró procediamo lentamente. Queste due storie mi piacquero, erano divertenti, anche se la fine non é felice. Per un bel po’ ho pensato che le storie fossero accomunate da questo, dal “NON lieto fine”, ma leggendo leggendo mi sono accorta di essermi sbagliata. Ognuna di queste storie, infatti, vuole raccontare e denunciare una pecca della societá; proprio così, una pecca: il capitalismo, la superficialità e tanti altri aspetti sbagliati che sono facilmente riscontrabili e rilevabili dalla realtà in cui viviamo. Questi difetti, queste piaghe sono trattate con forte ironia, per cui il racconto in sè per sè fa ridere, ma ti lascia un gusto amaro, ti lascia perplesso perchè ci si rende conto che è realmente quello che succede tutti i giorni ed è triste leggerlo. Non so perchè è così, ma è un po’ come se noi cittadini di Napoli leggessimo un quotidiano in cui viene descritto il problema spazzatura. Rode no? o almeno penso. La sensazione fondamentalmente è quella lá, perchè nonostante nel tuo piccolo ti comporta bene, non è sufficiente nel complesso della societá, dell’umanitá. Di questa raccolta ahimè ho tralasciato un solo racconto, descriveva politica/guerra e non sono argomenti che mi allettano, peró ci sono stati due racconti a cui tengo perchè particolari più di tutti. Il primo è intitolato Carmela, e lo definisco geniale, non voglio svelarvi nulla, peró meriterebbe una lettura, il secondo invece è Dottor 0. Questo mi ha fatto riflettere perché spero che nel mio futuro possa tenermi il più lontana possibile dalla condotta del protagonista. Si tratta di “uno che conta” e allora mi auguro di non contare a niente, ma di essere la Persona più umana di questo mondo. Poichè sono due racconti diversi, che mi hanno attratto per motivi differenti proveró a trascriverli in un altro post, in modo che anche in voi possa nascere un punto di riflessione.

Concludo con una domanda: puó essere che il non lieto fine sia l’unica opzione contemplata per porre fine allo scempio della società?

O meglio, più domande:

Chi di voi ha letto questo libro? Vi siete posti le stesse domande? Quali sono state, insomma, le vostre riflessioni? Attendo dei vostri commenti,

a presto!!

                                                      Anto 🙂

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